Ambulanze inchiodate in fila al Pronto Soccorso, ritardano i soccorsi: muore una donna in ospedale
Trasportata in codice rosso dopo un’attesa di 35 minuti, muore in ospedale dopo 10 ore dalla diagnosi. Il figlio: “Valuterò azioni legali”
L’attesa uccide. Questo è successo a una donna la sera tra 3 e 4 febbraio. Il racconto del figlio è straziante e fa venire una rabbia lucida che ci fa solo chiedere: “perché?” Il figlio ha dovuto fare numerosi solleciti al Numero Unico 112 per poter essere messo in contatto con il 118, per poi attendere ulteriori 35 minuti l’arrivo dei soccorsi. “Mia madre aveva fortissimi dolori addominali – ci racconta – Gli operatori ci hanno informato che la causa del ritardo era dovuta alle 40 e più ambulanze ferme purtroppo davanti ai Pronto Soccorso degli ospedali”.
L’attesa uccide. Quante volte abbiamo accolto gli appelli dell’UGL Salute e di Massimiliano Scermino, che denunciavano proprio questi pericoli: le ambulanze ferme, usate come camere d’emergenza davanti ai Pronto Soccorso, impediscono gli interventi d’urgenza. E a pagare, stavolta, è stata questa donna. Quando finalmente arriva al Pronto Soccorso delle Figlie di San Camillo Vannini, la donna veniva inspiegabilmente inserita, secondo il folle protocollo ospedaliero, nel percorso sospetti covid, nonostante il tampone avesse dato esito negativo. Successivamente, veniva spostata nel percorso “pulito”.
“Ero fuori al Pronto Soccorso – prosegue il racconto – per sapere cosa avesse mia mamma. Gli operatori mi hanno invitato a tornare a casa, visto che gli avrebbero di lì a poco somministrato degli antidolorifici. Da quel momento in poi, mia mamma l’ho sentita solo telefonicamente. Si lamentava del dolore, mi diceva che era stata messa dentro un camerone con altri pazienti, con una flebo attaccata, dolori fortissimi e continui. Era entrata alle 14:30, soltanto alle 23 circa decidono di farle una Tac addominale. Invece d’operarla d’urgenza, hanno trasferito mia madre al Policlinico di Tor Vergata: in tutto erano passate 10 ore dalla diagnosi. Arrivata al PTV, è stata portata con urgenza in sala operatoria, ma l’operazione era delicatissima e complessa, mi hanno detto i medici chirurghi, a causa del tanto tempo trascorso. Pochi minuti dopo l’operazione, mia madre muore per una vasta emorragia, alle 5 del mattino”.
Troppo tempo perso, troppe attese. “Saranno sicuramente valutate azioni legali – conclude il figlio della donna – contro chi è responsabile della morte di mia madre, una donna piena di vita e d’amore per la propria famiglia, una donna di 67 anni. Voglio giustizia e conoscere tutto il percorso clinico: dalla chiamata al 112 e 118 fino al ritardo dell’ambulanza, dall’arrivo in un ospedale non attrezzato all’attesa di 7 ore per una Tac, dal trasferimento in altra struttura al momento della morte. Mi sembra di vivere un incubo, in un momento perennemente paralizzato soltanto dal covid e non da altre sintomatologie male interpretate e fatte passare come un semplice doloretto. Una cosa è certa: mia mamma è morta e qualcuno deve assumersi la propria responsabilità del ritardo sull’intervento”.